L'associazione ambientalista ha pubblicato un dossier in cui 
vengono ipotizzati due differenti scenari per il futuro delle politiche 
energetiche internazionali. Nel primo, gli investimenti consentono uno 
sviluppo notevole delle fonti “verdi”, mentre nel secondo sono le smart 
grid ad essere implementate maggiormente
Nel 2030 le fonti rinnovabili potrebbero arrivare a coprire il 68% 
del fabbisogno energetico europeo, ma perché questo accada è necessario 
un impegno finanziario maggiore da parte dei governi. Lo rivela l'ultimo rapporto di Greenpeace, intitolato “Revolution: battle of the grids”
 (vedi allegato), che traccia due possibili scenari per lo sviluppo 
delle fonti energetiche “pulite” da qui a vent'anni. Il primo, appunto, 
prevede che gli Stati investano massicciamente nel settore e nel 
miglioramento della rete di distribuzione, destinando complessivamente almeno 74 miliardi di euro
 allo sviluppo delle rinnovabili per il ventennio successivo 
(2030-2050). In questo caso, l'energia “low-carbon potrebbe raggiungere 
un livello significativo, considerando che già negli ultimi anni sono 
stati compiuti passi importanti in questa direzione. «In Spagna oggi le 
fonti rinnovabili forniscono già il 40% dell'elettricità, in Danimarca 
superano il 28%, l'Italia è oltre il 23%, in Germania il parlamento ha 
deciso di compensare la chiusura delle centrali nucleari con un aumento 
dell'energia fornita dal sole e dal vento – ha dichiarato il direttore 
di Greenpeace, Giuseppe Onufrio - Nel complesso dell'Europa è ipotizzabile che le rinnovabili arrivino fino al 68% nell'arco di vent'anni».
Una prospettiva di certo allettante. Il rapporto pubblicato dall'associazione ambientalista, però, traccia anche un altro scenario,
 meno incentrato sulle rinnovabili ma più favorevole allo sviluppo delle
 cosiddette “smart grid”, ovvero le reti intelligenti in grado di 
trasferire l'energia dal luogo di produzione ad altri siti. In questo 
caso, il numero dei nuovi impianti installati ogni anno potrebbe 
iniziare a diminuire, ma allargando la rete fino al Nord Africa, si 
potrebbe ad esempio trasportare in Europa l'energia 
prodotta e accumulata nei deserti. Per arrivare a un risultato del 
genere, comunque, occorrerebbero investimenti ancora più cospicui, che 
Greenpeace stima in oltre 580 miliardi di euro. La smart grid, tra 
l'altro, risultano particolarmente adatte alla trasmissione dell'energia
 a basso tenore di carbonio, mentre si prestano meno a lavorare con le 
fonti fossili e con l'energia atomica. «Il vero punto debole del sistema
 delle smart grid sono carbone e nucleare, perché hanno
 una produzione poco flessibile – ha precisato Onufrio a questo 
proposito - Se la loro quota dovesse rimanere al livello attuale, in 
Europa si rischiano di perdere 32 miliardi l'anno di energia prodotta 
dal sole e dal vento, che non potrebbe essere utilizzata. Invece usando 
come stabilizzatori del sistema gas, geotermia, biomasse, cioè fonti 
flessibili, si può ottenere il massimo della convenienza economica in 
uno scenario di rinnovabili molto avanzato».
 

 
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