sabato 5 marzo 2005

 

La nuova qualità della guerra attuale

 LA NUOVA QUALITA' DELLA GUERRA ATTUALE

Si discute molto in questi mesi, anche nel nostro paese, sulla questione della guerra. L'azione militare in Afghanistan prima, poi contro l'Iraq ha aperto una discussione, talora drammatica, talora confusa, con semplificazioni assai scoraggianti. Basti pensare alla distinzione di difficile decifrazione fra pacifisti assoluti e pacifisti relativi, i primi sempre contro la guerra, i secondi disponibili alla guerra a qualche condizione. Oppure la distinzione tra pacifisti incoscienti (i ciecopacifisti) e i pacifisti pensanti, inaugurata da Sartori.

Io credo che innanzitutto, piuttosto che entrare in dispute ideologiche, è necessario riflettere sulla guerra e sul suo cambiamento di qualità.

Con i primi bombardamenti sulle città, durante la guerra di Spagna, la guerra ha cominciato a cambiare qualità. I civili diventano per la prima volta obiettivi militari. Fino a quel momento i civili morivano in guerra, ma in modo non deliberato e occasionale. Certo pagavano il passaggio degli eserciti, ma non erano degli obiettivi.

Nella seconda guerra mondiale la metà dei morti sono civili e la bomba atomica di Hiroshima e Nagasaki è la rappresentazione di tutto questo. Con essa non si vuole distruggere un convoglio di carri armati o una caserma, si spazza via in un attimo una città. La bomba atomica vuole colpire i popoli non gli eserciti. In questo senso la bomba atomica apre e qualifica il tempo di una nuova qualità della guerra.

Può sembrare un paradosso. Negli ultimi cinquant'anni per fortuna non c'è mai stato un conflitto nucleare, ma le guerre si sono sempre più caratterizzate come massacro di civili, dalla guerra di Corea in poi. Negli ultimi dieci anni, secondo stime largamente riconosciute da tutti, su cento morti prodotti dalla guerra, 93 sono civili (di cui 34 sono bambini) solo 7 sono militari.

Queste cifre elementarissime, che riguardano non solo le guerre dimenticate, ma anche certe guerre Onu, come il Kosovo o l'Afghanistan, mettono fortemente in discussione il dibattito che si fa sulla guerra, sull'uso proporzionato della forza, sulla legittima difesa, sulle guerre umanitarie o chirurgiche. È necessario prendere atto innanzitutto che la guerra attuale ha questo segno, a prescindere dalle connotazioni ideologiche che ciascuno le può attribuire, e significa anche che iniziare un'operazione militare ha questi costi, senza veli e ipocrisie, quasi che si fosse capaci di fare altro.

Ma c'è un'altra valutazione da fare. Che la guerra moderna non finisce di uccidere nel momento in cui si firma un trattato o una tregua. È noto che le mine antiuomo uccidono ben oltre la fine di una guerra e così le bombe a grappolo, largamente usate anche in Afghanistan. Un'altra questione riguarda l'inquinamento ambientale prodotto dalla guerra. Questo tocca in modo delicatissimo la popolazione civile, soprattutto mette a repentaglio le condizioni sanitarie.

Basti ricordare la polemica sul problema dell'uranio impoverito in Bosnia e in Kosovo e la possibile crescita di tumori del sangue sui nostri soldati, ma evidentemente anche sulla popolazione civile e al tempo stesso la tragedia dei bambini iracheni, che muoiono per mancanza di medicine che curino i tumori prodotti dall'inquinamento ambientale della guerra del 1991.

La guerra moderna, al di là di come la si voglia definire, ha questa dimensione e comporta questi problemi. Un certo pensiero astratto sulla guerra dovrebbe imparare a fare i conti con la concreta durezza della guerra. Se in concreto la guerra ha questa durezza e dimensione, non è serio parlarne in termini astratti, secondo un formalismo che vela e cancella la realtà.

Quando si dice che nella guerra bisogna stare dalla parte delle vittime, si intende essenzialmente questo. Leggere e discernere il conflitto con gli occhi degli innocenti che lo pagano a caro prezzo. Talora si arriva a distruggere un popolo, per abbattere il dittatore che schiavizza quel popolo. Il popolo che già paga duramente un regime autoritario non può essere oggetto di un'ulteriore violenza, per eliminare quel dittatore.

C'è poi un'altra considerazione da fare. L'uccisione deliberata e voluta dei civili produce una seminagione di odio, che ha l'unico effetto di moltiplicare la guerra e di rendere impossibile o comunque fragilissima ogni tregua o pace.

Basterebbe guardare da questo punto di vista al conflitto Israele palestinese: i palestinesi e gli israeliani hanno ciascuno per la propria parte diritti fondamentali da difendere. Lo scontro militare in atto, che pone i civili al centro del conflitto attraverso il terrorismo e le bombe umane da una parte e dall'altra interventi militari che mirano a distruggere la vita della società palestinese, ha come unico risultato di far crescere il muro di paura e di diffidenza reciproca, allontanando la possibilità di una soluzione pacifica e condivisa al conflitto.

C'è a mio avviso un pacifismo storico con cui tutti devono fare i conti: la guerra, l'azione militare, al di là delle buone intenzioni e dei distinguo di ciascuno, avviene nella realtà e concretamente secondo quanto abbiamo detto e allora bisogna domandarci, con coraggio e senza infingimenti, se ha senso, proprio in vista della pace, perseguire una strada che ha come concreto obiettivo quello di rendere più lontana la via del dialogo e dell'incontro. Non possiamo nasconderci dietro ragionamenti formali, che hanno qualche elemento di plausibilità, ma di fatto non si misurano su quanto avviene quando la guerra è in atto.

La guerra, con il volto che ha assunto oggi, diventa una via impraticabile verso la pace, perché produce effetti importanti e consistenti che vanno nella direzione contraria, senza di fatto risolvere nessuna questione

MASSIMO TOSCHI
http://www.agliincrocideiventi.it