giovedì 28 aprile 2005

a volte ritornano... Porcupine Tree " deadwing"

riporto una recensione trovata su internet perchè la condivido ed è quello che avrei voluto dirvi su questo nuovo album dei Porcupine Tree.
E indovinate chi suona con loro in questo album ? Adrian Belew !!!


ecco la recensione:

Recensione di Loredana Miele
Ed eccolo, infine, il gioiello. Dopo la decisa virata stilistica di "Stupid Dream" - che segnò nel '99 il passaggio dalla psichedelia dei primi cinque lavori ad una profonda esplorazione dei territori della forma canzone - e dopo i clamori del riuscitissimo "In Absentia", Wilson, Barbieri, Edwin e Harrison (con la collaborazione e la benedizione di Sua Maestà Elliot Scheiner) tengono a ribadirlo: nessun compromesso. Siate pronti - sempre - a sentirli cambiare direzione, di uscita in uscita, e non vi deluderanno. Mai, probabilmente. Con "Deadwing", oggi, i Porcupine Tree raggiungono un grado di appeal musicale dal potenziale altissimo, oltre che ad una complessità espressiva che infine approda a lidi mai prima d'ora così rocciosi. Basato su un concept tratto da un racconto-sceneggiatura che Wilson spera di far diventare, in un futuro imprecisato, un vero e proprio film, "Deadwing" si presenta come un album da ascoltare, leggere, guardare e scavare fino in fondo, ogni volta tutto d'un fiato. Crediamo infatti che, una volta iniziato l'ascolto, in pochi riusciranno ad interromperlo prima della fine: in apertura, "Deadwing" vomita fuori in dieci minuti, senza un chorus definito, tutta l'ambizione, la non-convenzionalità e gli intenti del disco, ovvero stupire e raccontare, farvi scorrere la storia di David davanti agli occhi in un'ora di musica che conserva tutti i tratti distintivi di casa Porcupine Tree, ma che pure non è mai stata tanto in-your-face. Ciò che è stato iniziato con "In Absentia" vede qui il suo compimento: l'intrecciarsi di armonie nei cori (tra i quali si nasconde anche la voce di Mikael Akerfeldt) tanto cari alla band si alternano o si fondono con l'esplosione di grassi riff come quello della dirompente "Shallow", singolo in uscita, in cui lo stesso Wilson dice di essersi richiamato alle "vibrazioni" dei Led Zeppelin portandosi però dietro anche i frutti della lunga collaborazione con gli amici Opeth, partorendo così il proprio modo di intendere la canzone rock. Subito dopo arriva il momento più delicato e lineare, in stile Radiohead/Coldplay, quella "Lazarus" che rappresenta la parte più calda e nostalgica dei Porcupine Tree del 2005, là dove poco più avanti "Halo" tornerà a riprendere le ostilità con un groove basso-batteria contagioso e serpeggiante, vocals distorte e ripetitive e la chitarra di Adrian Belew (King Crimson, David Bowie) che accompagnano la voce narrante in un viaggio attraverso una mistica follia di sapore industrial à la Nine Inch Nails. "Arriving Somewhere - But Not Here" è il momento centrale e cruciale dell'album, che lentamente si sviluppa a partire da un'atmosfera velata di tastiere fino ad 'aprirsi' in tredici minuti che toccano tutte le possibilità espressive sperimentate dalla band durante la sua carriera, dal progressive rock al metal e al pop, senz'altro l'episodio più ambizioso in termini di complessità strutturale e orizzontale, che si conclude svanendo nell'aria lasciando posto alla gocciolante, dilatata "Mellotron Scratch" e alle sue fluttuanti armonie vocali tripartite, che si sovrappongono le une alle altre fino allo 'shut down' finale che chiude il brano con vero e proprio scatto d'interruttore. Da qui il respiro si trattiene fino all'inizio di "Open Car", breve pezzo dai riff callosi e massicci dall'andatura sincopata in cui il viaggio di David prosegue in direzione di "The Start Of Something Beautiful", il brano in più classico stile Porcupine Tree, che mostra ancora una volta la solita particolare predilezione per i tempi articolati e il groove, e che si accoppia nella fase conclusiva con la magnifica "Glass Arm Shattering", finale deflagrazione di melodia - quella onirica ed epica melodia di pinkfloydiana memoria che tanta parte ha nelle radici della personalità stessa della band. L'avevamo detto, del resto: "Deadwing" è un gioiello, dalla storia inquietante e affascinante come un sogno che precede l'alba. E senza la più piccola sbavatura. Fulgido, tagliente, bellissimo. Da cui lasciarsi ferire e conquistare. Di più non sapremmo dire, se non: un capolavoro.

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