sabato 22 gennaio 2005

Metti un alga nel motore

 
UN PROGETTO ITALIANO METTE UN’ALGA NEL MOTORE
Ecco la ricerca per produrre energia davvero pulita dalla fauna marina
di Marcello Adam

È una corsa contro il tempo, per battere la concorrenza dei ricercatori americani; una sfida che non spaventa il professore Giorgio Giacometti, ordinario di Biochimica dell’Università di Padova, capo di un progetto ambizioso nel campo della ricerca di fonti di energia alternative che potrebbe rivoluzionare e risolvere annosi e impellenti problemi ambientali.

Lo scopo e l’obbiettivo del progetto è quello di produrre e sfruttare l’idrogeno che alcune tipi di alghe, quelle verdi, in determinate condizioni (e precisamente in carenza di zolfo) sviluppano stabilmente e in quantità notevole. E come molti sanno, questo elemento viene considerato dalla maggior parte degli scienziati la fonte di energia del futuro, valida alternativa all’inquinante petrolio.

Alcuni dati sperimentali dimostrano che 10 litri di coltura di alghe possono produrre da 1 a 2 litri di idrogeno sostanzialmente puro. Ma per ottenerne di più, diciamo mille litri al giorno, bisogna modificare geneticamente queste alghe. Ed è quello che il professore Giacometti e i suoi collaboratori intendono fare.

La pista dell’Idrogeno è già da qualche anno una vera propria ossessione scientifica che ha fatto proliferare studi e ricerche in tutto il mondo e ha portato alla ribalta in questo campo i biologi. Non a caso Giacometti è un “fotosintetico”, cioè un esperto di fotosintesi, quel meraviglioso processo della natura che consente a noi di respirare e alle piante (alghe e certi tipi di batteri) di vivere e crescere.

Ed è esclusivamente merito suo se per la prima volta una ricerca del genere viene fatta in Italia e ottiene un finanziamenti di ben sette milioni di Euro, una cifra consistente e in un certo senso clamorosa, considerando la precaria situazione del settore nel nostro paese. Nella progettazione del gruppo di lavoro il nostro scienziato ha cercato di utilizzare tutte le competenza che erano note e presenti nel nostro paese e che potevano essere utili al progetto. Così sono nate le collaborazioni con l’università di Firenze, l’Enea e con gli importanti istituti di Napoli e di Firenze del Centro Nazionale delle Ricerche, lasciando però il centro di coordinamento all’Università di Padova.

La ricerca in realtà durerà circa tre anni e si svilupperà sostanzialmente in tre parti. La prima, la meno ambiziosa ma anche la più redditizia, avrà come scopo l’utilizzo di microorganismi per ottenere idrogeno da biomassa. La biomassa si può ottenere dai residui di lavorazione degli allevamenti, ma anche nelle acque reflue cittadine; e attualmente da essa si ricava metano, ma solo in base a processi che hanno lo svantaggio di dover usare energia elettrica. Lo studio servirà a costruire una tecnologia in grado di produrre impianti in grado di sviluppare idrogeno.

La seconda linea di ricerca sarà forse la più difficile a ambiziosa, cioè quella che ha attirato l’attenzione di tutti: modificare geneticamente alghe o altri tipi di batteri per produrre in quantità industriale idrogeno. La terza sarà la più ingegneristica: sfruttare i risultati delle prime due per realizzare un impianto pilota in cui realizzare il frutto di questi processi. E sarà questo il momento in cui sarà possibile valutare il costo, l’economicità e la possibilità di questa innovazione.

Attualmente ci sono già alcuni progetti che hanno dato dei risultati più o meno incoraggianti: come quello del Professore americano Anastasios Melis dell’università di Berkeley in California che ha costruito un bioreattore capace di produrre un litro di idrogeno all’ora da 500 litri d’acqua e alghe verdi.

Adesso tocca all’Italia; le speranze sono quelle di costruire alla fine di questi tre anni un impianto pilota con una tecnologia efficace ed affidabile, per avere a disposizione una nuova forma di energia, alternativa certo, ma integrativa al petrolio. Nella prospettiva di una produzione diffusa dell’idrogeno, infatti si può immaginare piccoli impianti che producano, almeno in parte, l’energia necessaria, come ad esempio un allevamento o un’azienda agricola che potrà installare il proprio bioreattore e soddisfare il suo fabbisogno.

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