sabato 22 marzo 2003

Blitz di Greenpeace all'altare della patria: Berlusconi premier guerrafondaio

Roma, 22 marzo 2003 - Alle 10,30 di questa mattina una ventina di attivisti di Greenpeace si sono introdotti nell’Altare della Patria, a Piazza Venezia, a Roma. Due scalatori si sono arrampicati sui piloni delle bandiere italiane a circa 20 metri d’altezza, riuscendo a stendere uno striscione nero di 20 metri per 5 che riproduce il volto di Berlusconi con un elmetto da soldato americano e la scritta: “Un impegno concreto: guerra”.

Solo dopo 2 ore le forze dell’ordine sono riuscite, con l’ausilio dei vigili del fuoco, a rimuovere lo striscione e a quel punto gli attivisti sono scesi. “Berlusconi ha sostenuto e sostiene l'atto di aggressione illegale di Bush nei confronti dell'Iraq- afferma Domitilla Senni, direttore generale di Greenpeace - così facendo ha calpestato la volontà pacifista della maggioranza degli italiani ed il dettato costituzionale. Con questa guerra Bush e i 30 governi che lo sostengono tra cui quello di Berlusconi, umilia le Nazione Unite e tenta di imporre la politica unilaterale degli Stati Uniti al resto del mondo".

Greenpeace chiede un immediato cessate il fuoco e la ripresa dei negoziati per la pace e il disarmo. Questa guerra avrà devastanti conseguenze sia umanitarie che ambientali. Questo attacco è un' affronto per tutti coloro che credono nella pace, nella democrazia e nel ruolo imprescindibile delle istituzioni internazionali. “L’uso delle tattiche “terrorizza e colpisci”, con bombardamenti massicci e indiscriminati è illegale per il diritto internazionale e si tradurrà in perdite umane, danni alle infrastrutture civili ed un disastro ambientale che lascerà un’eredità di morte per le generazioni a venire” afferma Senni. Le regole base del diritto umanitario dicono che è illegale lanciare attacchi indiscriminati a obiettivi civili, eppure è il Pentagono ad affermare: “non ci sarà un posto sicuro in tutta Baghdad”.

Greenpeace continua a protestare, in tutto il mondo, contro la guerra. Ieri ci sono state manifestazioni in Hong Kong, in Gran Bretagna, Grecia, Spagna e Germania. Altre sono attese per oggi in altri paesi.

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