Un patrimonio politico
di ALESSANDRO ROBECCHI
In questi tempi di crisi, di ridicoli balletti, di «teatrino della politica», col capocomico in primo piano, riemergono prepotenti le famose Tre I di Silvio Berlusconi: I soldi, I soldi, I soldi. In consiglio dei ministri, mentre la frana già scendeva sulla sua capoccia, Silvio sbottava: «Uno come me, con un patrimonio di ventimila miliardi, deve perdere tempo con voi...». Non so se la frase, riportata da alcuni giornali, sia vera o soltanto verosimile. Ho atteso una smentita: se oltre a ventimila miliardi hai anche un cervello, una frase così la smentisci, perché è di quelle che ti rendono odioso a ventimila miliardi di distanza. Niente smentita: Silvio aveva da fare. Spedito Letta al Quirinale, in piena crisi di governo, si recava a comprargli un regalo di compleanno (auguri, dottor Letta!), passeggiando per via dei Coronari, tra le botteghe degli antiquari romani. Inutile dire che quando compare all'orizzonte un uomo con un patrimonio di ventimila miliardi, gli antiquari fanno la òla. Non è la prima volta. Fu ancora più diventente quando, cacciato malamente dai suoi amici leghisti e dagli avvisi di garanzia, si lamentò con Scalfaro di aver speso un sacco di soldi per ristrutturare gli appartamenti di Palazzo Chigi. Insomma, talmente cercava una scusa per restare, Silvio, che si aggrappava alla tappezzeria, e avendo pagato alcuni faraonici lavori non voleva lasciare l'appartamento.
C'è, in queste cronachette minori dei tempi del colera, qualcosa di incredibilmente lineare, di spaventosamente coerente. I soldi.
I soldi, sapete, non danno la felicità, ma comprano un sacco di altre cose. Per esempio il lusso di una doppia personalità. Così, mentre il Silvio premier sta talmente aggrappato alla poltrona che bisognerà scarteggiarlo via con l'acquaragia, il Silvio imprenditore passa all'incasso. Vende azioni Mediaset per quattromila miliardi di lire, mantiene intatto il controllo sull'impero mediatico, monetizza la sua attività di governo e la legge Gasparri in primis. Non ci vuole un genio della finanza per annusare l'affarone: basta andare a vedere come stava il titolo Mediaset un anno fa e come stava al momento del realizzo. Bel colpo, e si torna sempre lì, ai soldi.
Ma la frase che resta illuminante è sempre quella: «Uno come me, con un patrimonio di ventimila miliardi...». C'è dentro tutto lo stupore e l'amarezza che in questi luridi tempi moderni e comunisti uno ricco possa contare, in certe cose, come uno povero, o perlomeno come uno normale. C'è incredulità... ma come! E i soldi, allora, non contano niente? Ecco che il problema si fa politico. No, non quella politica lì, quella dei Follini e dei De Michelis che se ne vanno, dei Giovanardi che piangono, dei Fini indecisi a tutto. Ma la politica vera, quella futura del paese. Perché uno che ha in tasca ventimila miliardi, e che ne incassa altri quattromila con l'ultimo barbatrucco finanziario, è pericoloso a prescindere, anche se non fosse presidente del consiglio, anche se non fosse padrone dei media, anche se non fosse unto dal Signore. Uno così ricco è un problema, più che una risorsa, è una minaccia e un pericolo per la democrazia. Questo un comunista lo capisce al volo. Ma anche i signori liberali, sotto sotto, lo sanno. E la prova provata è l'allarme di questi giorni, in cui tutto il mondo padronale si chiede struggendosi: e mo' che ci farà Silvio di tutti quei soldi? Comprerà Telecom? O addirittura una rete Rai? Oppure il Corriere della Sera? Una massa così impressionante di soldi il capitalismo italiano se la sogna di notte e quando si avvicina, la teme parecchio. Ecco perché su una cosa almeno Silvio ha ragione: «Non vi libererete tanto presto di me....». Vero. Anche quando sarà cacciato a furor di popolo dal governo, avrà messo da parte un tale groviglio di interessi lubrificati con i soldi che sarà impossibile scioglierlo per decenni. Stava fallendo di brutto, ha passato dieci anni sul tram della politica, e quando lo costringeranno a scendere sarà il più ricco e potente di tutti. I soldi, appunto. Ed è per quello che, senza nemmeno smentire, o schermirsi, o vergognarsi un po', Silvio può dire frasi come quella: «Uno come me con un parimonio di ventimila miliardi, deve perder tempo con voi...». Che è l'esatta, perfetta, cristallina riproduzione di quel che Alberto Sordi /Marchese Del Grillo dice al popolino romano: «Io so' io, e voi nun siete un cazzo!». Ah, i soldi!
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